I PERSONAGGI DI ATURIN sono alcuni dei cittadini più illustri di Torino che con le loro opere e il loro pensiero hanno contribuito, ognuno nel proprio ambito, a fare di Torino una grande città.
- FRED BUSCAGLIONE (Torino 1921-Roma 1960), cantautore e attore.
- Si forma al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino e già da adolescente si esibisce nei locali notturni come cantante jazz. Con l’amico Leo Chiosso compone i brani che lo renderanno famoso, che parlano di New York e di duri spietati con i nemici in balia di alcool e belle donne: Che bambola, Teresa non sparare, Eri piccola così, Whisky facile. Fred si cala nel personaggio presentandosi in scena con baffetti da gangster, doppiopetto gessato, sigaretta all’angolo della bocca, cappello a falde larghe e le pose da duro viste nei polizieschi americani. I giovani per primi apprezzano la ventata di novità portata dall’artista, premiando le sue canzoni e acquistando i dischi. La sua attività si fa sempre più frenetica e alla fine degli anni Cinquanta è uno degli artisti più richiesti: gira film, registra spettacoli televisivi, incide dischi e si esibisce nei locali. Fred muore a Roma a soli 39 anni, in un incidente d’auto, mentre torna in albergo dopo essersi esibito in un night. Ai suoi funerali a Torino partecipano migliaia di persone, riunite per rendergli l’estremo saluto.
- ERMINIO MACARIO (Torino 1902-1980), attore comico.
- Di famiglia molto povera, è costretto a lasciare la scuola per lavorare. A 18 anni inizia a esibirsi con una compagnia nelle fiere paesane. Nel 1921 debutta nel teatro di prosa e poi passa al varietà dimostrando una naturale inclinazione all’arte mimica. Nel 1925 la soubrette Isa Bluette lo scrittura come comico nella sua compagnia. Macario si costruisce un personaggio semplice e ingenuo, che parla in dialetto piemontese, riconoscibile per un caratteristico ricciolo di capelli sulla fronte, gli occhi rotondi spalancati e la camminata ciondolante, sempre accompagnato sul palco da donne giovani e avvenenti. Nel 1930 forma una sua compagnia di avanspettacolo, con la quale girerà l’Italia per oltre trent’anni. Raggiunge un grande successo e lancia numerose attrici tra cui Wanda Osiris, Delia Scala, Raffaella Carrà e Sandra Mondaini. Recita anche per il cinema; dal 1959 al 1963 gira diversi film con il suo grande amico Totò. Negli anni Settanta si dedica alla trasposizione televisiva di alcune sue commedie di successo, è tra i protagonisti del Carosello e conduce programmi televisivi di varietà.
- DON GIOVANNI BOSCO (Castelnuovo d'Asti 1815-Torino 1888), santo sociale.
- Rimasto orfano di padre, cresce con mamma Margherita, due fratelli e la nonna in provincia di Asti. Frequenta il seminario a Chieri e nel 1841 diventa prete. A Torino raduna intorno a sé i ragazzi disagiati e insegna loro il catechismo presso la chiesa di San Francesco d’Assisi; presto i ragazzi diventano quasi 200. Nel 1846 apre il suo primo oratorio nella casa Pinardi a Valdocco. Nel 1859 fonda l’Istituto dei Salesiani in cui ospita i ragazzi, li istruisce e li avvia a un mestiere, ma soprattutto li avvicina a Dio. Con Maria Domenica Mazzarello fonda l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con lo scopo di educare, con il medesimo spirito, la gioventù femminile. Nel 1864 pone la prima pietra del santuario di Maria Ausiliatrice. Nel 1875 sceglie i missionari della prima spedizione di evangelizzazione in Argentina, a cui ne seguiranno altre che porteranno i Salesiani fino in Uruguay, Brasile, Stati Uniti, Asia e Africa. Don Bosco muore a 73 anni; le sue spoglie riposano nel santuario di Maria Ausiliatrice. Papa Pio XI lo ha beatificato nel 1929 e dichiarato santo nel 1934.
- RITRATTO DI FANCIULLA (Leonardo da Vinci, 1483-1485), Biblioteca Reale di Torino.
- Il Ritratto di fanciulla è, dopo l’Autoritratto, il più celebre disegno di Leonardo da Vinci conservato alla Biblioteca Reale di Torino. Nel 1952, in occasione del quinto centenario della nascita di Leonardo, lo storico dell’arte Bernard Berenson lo definì “il disegno più bello del mondo”. La giovane donna è ripresa di schiena, con lo sguardo rivolto verso l’osservatore. L’espressione è intensa e i volumi perfetti del viso sono ottenuti grazie a un fitto e accurato chiaroscuro. Sono invece appena accennati gli altri particolari della figura, come l’abito e i capelli divisi da una scriminatura centrale con ciocche mosse che scendono lungo il viso e coperti da un copricapo. È ritenuto uno studio preparatorio per l’angelo della Vergine delle rocce oggi al Museo del Louvre. La fanciulla è stata anche identificata con Cecilia Gallerani, la giovane amata da Ludovico Sforza e rappresentata nel dipinto La dama con l’ermellino conservato a Cracovia.
- GIANDUJA, maschera popolare torinese.
- Nasce all’inizio del 1800 dalla fantasia di due burattinai piemontesi, Gioacchino Bellone e Giovanni Battista Sales. Il nome Gianduja deriva probabilmente dalla locuzione Giôvan d’la dôja ovvero Giovanni dal boccale, con riferimento al suo debole per il buon vino. Gianduja è infatti sempre rappresentato con in mano un boccale pieno di vino e il viso rubicondo. Porta la parrucca con il codino rivolto all’insù, un cappello a tre punte, una giacca marrone bordata di rosso, panciotto giallo, calzoni verdi e lunghi fino al ginocchio, calze rosse e scarpe con fibbia d’ottone. È allegro, coraggioso, schietto, fedele al dovere e alla parola data. Ha incarnato gli ideali di libertà e democrazia del Risorgimento. È sempre presente nelle feste popolari torinesi, accompagnato dalla sua fedele compagna Giacometta. Dal suo nome deriva quello della cioccolata gianduia e del cioccolatino gianduiotto, entrambi specialità torinesi, che vengono distribuiti dalla maschera durante la festa del Carnevale.
- BUSTO DI LUCIO VERO (II secolo d.C.), Tesoro di Marengo, Museo Archeologico di Torino.
- Il busto, a grandezza naturale, ritrae l’imperatore Lucio Vero (161-169 d.C.) con una folta capigliatura ricciuta, la barba corta, lo sguardo affetto da un leggero strabismo e una corazza ornata da una testa di Medusa. Il busto fa parte di un gruppo di oggetti realizzati in lamina d’argento tra cui fasce decorative, una statuina della dea Vittoria, un vaso a forma di capitello, una tabella con dedica alla Fortuna Melior, elementi di arredo e frammenti di sculture di animali forse appartenenti a uno Zodiaco. I preziosi oggetti furono ritrovati nel 1928 in una buca durante lavori agricoli presso la Cascina Pederbona di Marengo (Alessandria). Si ritiene che fossero stati trafugati da un luogo di culto in epoca tardo-romana e che i ladri li avessero nascosti nel terreno con l’intenzione di tornare a recuperarli. Gli argenti erano stati schiacciati e deformati dai ladri per agevolarne il trasporto, il che dimostra che non interessavano dal punto di vista artistico ma per il valore del metallo in vista di una rifusione. Dopo la scoperta furono destinati al mercato antiquario, ma il Ministero della Pubblica Istruzione ne ordinò immediatamente il sequestro e gli oggetti vennero assicurati allo Stato, restaurati ed esposti al Museo Archeologico.
- MAESTRINA DALLA PENNA ROSSA, personaggio del libro Cuore di Edmondo De Amicis (1886).
- Secondo varie fonti, De Amicis si sarebbe ispirato per il personaggio della Maestrina dalla penna rossa a Eugenia Barruero, maestra vissuta a Torino in Largo Montebello 38, dove oggi una targa la ricorda. Il libro Cuore si presenta in forma di diario, scritto da Enrico Bottini, alunno di terza elementare, che descrive la maestra così: «È giovane col viso color di rosa, due belle pozzette nelle guance e porta una gran penna rossa sul cappellino. Tien la classe allegra, sorride sempre, grida con la sua voce argentina che par che canti, picchiando la bacchetta sul tavolino e battendo le mani per imporre silenzio; poi quando escono, corre come una bimba dietro all’uno e all’altro per rimetterli in fila; e a questo tira su il bavero, a quell’altro abbottona il cappotto perché non infreddino; li segue fin sulla strada perché non s’accapiglino, supplica i parenti che non li castighino a casa […] ed è tormentata continuamente dai più piccoli che le fanno carezze e le chiedon dei baci tirandola pel velo e per la mantiglia; ma essa li lascia fare e li bacia tutti, ridendo».
- STATUA DI OTTAVIANO AUGUSTO (Roma 63 a.C.-Nola 14 d.C.), primo imperatore romano, Piazza Cesare Augusto a Torino.
- Ottaviano raggiunse il potere dopo una sanguinosa guerra civile scoppiata alla morte di Giulio Cesare che lo aveva nominato suo erede. Eliminò i suoi avversari e divenne unico padrone di un immenso impero; con lui si passò dalla repubblica al principato. Ottaviano introdusse importanti riforme che assicurarono all’impero pace e prosperità: riorganizzò l’esercito; riordinò il sistema economico e amministrativo; fondò nuove colonie; fece costruire porti, strade, acquedotti e altre opere di pubblica utilità; diede nuovo impulso alle arti e alla cultura. Dopo il 27 a.C. fondò Torino a cui diede il nome Augusta Taurinorum, caratterizzata da un impianto a scacchiera, con strade perpendicolari, una possente cinta muraria e quattro porte in corrispondenza delle vie principali. Nel 1935, quando l’area archeologica presso la Porta Palatina venne riqualificata, furono collocate le statue bronzee di Ottaviano e Giulio Cesare, copie di originali romani. La statua di Ottaviano lo ritrae in piedi, nelle vesti di comandante dell’esercito, con la lorica finemente decorata sopra una corta tunica e il paludamentum intorno ai fianchi, mentre solleva il braccio destro per richiedere silenzio prima di pronunciare ai soldati il discorso di incitamento alla battaglia.
- EMANUELE FILIBERTO (Chambery 1528-Torino 1580), duca di Savoia.
- Valoroso condottiero a capo dell’esercito nella guerra franco-spagnola, dimostra coraggio e caparbietà, tanto da essere soprannominato “Testa di Ferro”. Diventato duca di Savoia nel 1553, sconfigge definitivamente i Francesi nella battaglia di San Quintino (10 agosto 1557) e rientra in possesso dei territori sabaudi. La pace è suggellata dal matrimonio tra Emanuele Filiberto e Margherita di Valois, figlia del re di Francia Francesco I. Per festeggiare la vittoria di San Quintino avvenuta nel giorno di San Lorenzo, il duca fa voto di erigere a Torino una chiesa intitolata al santo, che verrà di fatto costruita da Guarino Guarini un secolo più tardi. Nel 1563 il duca sposta la capitale del ducato da Chambery a Torino e nel 1578 ordina che anche la Sacra Sindone sia trasferita a Torino. Inizialmente custodita in San Lorenzo, nel 1694 la reliquia trova sistemazione definitiva nella Cappella annessa al Duomo, anch’essa opera di Guarini, in cui lo stesso Emanuele Filiberto verrà sepolto. Nel 1838 Carlo Marochetti realizza una statua equestre del duca per piazza San Carlo, conosciuta dai Torinesi con il nome Caval ëd bronz.
- MASCHERA FUNERARIA DI MERIT (Deir el-Medina, XVIII dinastia), Tomba di Kha e Merit, Museo Egizio di Torino.
- Merit era la moglie di Kha, capo architetto addetto alla costruzione delle tombe reali nella Valle dei Re in Egitto durante la XVIII dinastia (Nuovo Regno). La loro tomba venne trovata intatta a nord del villaggio operaio di Deir el-Medina dall’egittologo italiano Ernesto Schiaparelli nel 1906. La camera sepolcrale della tomba custodiva un ricchissimo corredo composto da oltre 500 oggetti: i sarcofagi di legno contenenti le mummie, i letti, i poggiatesta, numerosi sgabelli, cofanetti per la biancheria, tuniche di lino, alcune ghirlande di fiori, vasi in ceramica e bronzo, strumenti da lavoro, unguentari per profumi e bistro, la parrucca di Merit fatta di capelli veri, il Libro dei Morti e vari alimenti tra cui pane, olive, aglio e frutta. La maschera funeraria in cartonnage, rivestita di foglia d’oro, ricopriva il capo e parte del petto della mummia di Merit. Gli occhi sono intarsiati con pietre dure, mentre le linee del trucco, le sopracciglia, le striature della parrucca e il collare usekh sono arricchiti dall’inserzione di pasta di vetro blu. Tutti gli oggetti ritrovati nella tomba sono esposti al Museo Egizio di Torino e rappresentano una delle sue maggiori attrazioni.
- FILIPPO JUVARRA (Messina 1678-Madrid 1736), architetto di Casa Savoia.
- Si forma a Messina nella bottega orafa del padre, poi come apprendista di Carlo Fontana a Roma, dove studia le opere classiche e quelle di artisti più recenti tra cui Michelangelo, Bernini e Borromini. Dal 1707 al 1712 insegna architettura all’Accademia di San Luca. Ritorna a Messina nel 1713 e incontra Vittorio Amedeo II di Savoia che, diventato re di Sicilia, si è trasferito per un periodo sull’isola. Il re ammira l’opera di Juvarra, decide di portarlo con sè a Torino e gli affida importanti lavori: la Basilica di Superga, la facciata di Palazzo Madama, la Palazzina di caccia di Stupinigi, la Chiesa del Carmine, i quartieri militari, interventi alla Reggia di Venaria Reale e al Castello di Rivoli. Juvarra è apprezzato da tutti, ma suscita anche invidie e gelosie. Per tagliare idealmente la lingua a chi parla male di lui, inserisce un paio di forbici nella decorazione in stucco di uno scalone di Palazzo Reale, noto come Scala delle Forbici. Nel 1735 il re di Spagna Filippo V lo chiama a Madrid per fargli costruire il nuovo Palazzo Reale. I Savoia a malincuore lasciano partire Juvarra, a patto che ritorni dopo tre anni; purtroppo, però, l’architetto non farà più ritorno in patria perché morirà a Madrid dopo appena dieci mesi a causa di una brutta polmonite.
- VITTORIO AMEDEO II (Torino 1666-Moncalieri 1732), primo re di Casa Savoia.
- Succede a Carlo Emanuele II nel 1675 ad appena 9 anni e governa sotto la reggenza della madre Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours fino al 1684, quando assume il potere effettivo che eserciterà in modo deciso e spregiudicato. Nel 1690 aderisce alla Lega d’Augusta contro la Francia che invade il Piemonte con l’esercito del generale Nicolas Catinat; Vittorio Amedeo II lo affronta a Staffarda, ma perde. Nel 1706, durante la guerra di successione spagnola, si allea con il cugino Eugenio di Savoia Soissons comandante dell’Impero Asburgico contro la Francia, che invade di nuovo il Piemonte e assedia Torino, ma questa volta è Vittorio Amedeo II ad avere la meglio. Con la successiva pace di Utrecht nel 1713, il re sabaudo ottiene importanti territori tra cui la Sicilia che nel 1720 cede agli Asburgo in cambio della Sardegna. Negli anni del regno opera importanti riforme riguardanti il sistema scolastico, l’amministrazione dello Stato e pone condizioni che limitano i poteri della Chiesa. Sposa Anna d’Orleans, nipote del Re Sole Luigi XIV. Nel 1730 abdica in favore del figlio Carlo Emanuele III e, dopo la morte della prima moglie, sposa la marchesa di Spigno Anna Canalis di Cumiana che lo convince a reinsediarsi sul trono, ma il figlio lo allontana facendolo rinchiudere nel Castello di Moncalieri, dove morirà dopo due anni.
- ALESSANDRO ANTONELLI (Ghemme 1798-Torino 1888), architetto.
- Frequenta l’Accademia di Brera e si diploma architetto civile alla Regia Scuola di Architettura di Torino. Nel 1828 vince un concorso per un soggiorno di studio a Roma. Ritornato a Torino, diventa professore di architettura all’Accademia Albertina. È attivo anche in politica come deputato al Parlamento Subalpino e consigliere comunale a Torino. Tra le sue opere più note: la Mole Antonelliana, diventata il monumento simbolo di Torino, ardita costruzione alta 167.50 metri, iniziata nel 1863 come sinagoga e poi acquistata dal Comune, che dal 2000 ospita il Museo Nazionale del Cinema; la cosiddetta “Fetta di Polenta” in Corso San Maurizio a Torino, un palazzo di forma trapezoidale di cui un lato misura appena 54 centimetri, costruito dall’architetto un po’ per scommessa; la chiesa parrocchiale di Castellamonte, progetto incompiuto di cui oggi rimane soltanto la “Rotonda Antonelliana”; la cupola della basilica di San Gaudenzio a Novara. Sono noti anche alcuni progetti mai realizzati, come la trasformazione di Piazza Castello a Torino che prevedeva, tra l’altro, la demolizione di Palazzo Madama.
- RITRATTO D'UOMO (Antonello da Messina, 1476), Museo Civico d'Arte Antica di Torino.
- L’uomo, che emerge da uno sfondo scuro, è rappresentato a mezzo busto, ruotato di tre quarti verso la fonte di luce, ma con gli occhi puntati sullo spettatore. Indossa una pesante toga rossa e un berretto nero con un lembo che ricade sulla spalla destra, abbigliamento tipico dei patrizi veneziani. Il ritratto è opera di Antonello da Messina, uno dei massimi interpreti dell’ars nova fiamminga in Italia, che soggiornò a Venezia nel 1475-1476. Egli ha reso con estremo realismo alcuni dettagli del volto come le sopracciglia folte e disordinate, le rughe, il neo sulla fronte e la leggera ricrescita della barba. Inoltre ha restituito un’attenta indagine psicologica dell’uomo che si pone fiero e altero, guardando lo spettatore con aria di sfida. Il personaggio è stato identificato con un uomo d’affari o un mercante; è stato anche ipotizzato che si tratti di un autoritratto dell’artista. Il dipinto faceva parte della collezione Trivulzio di Milano che nel 1935 il Museo Civico di Torino si apprestò ad acquistare, ma quando la trattativa era già quasi conclusa, il podestà di Milano si oppose e il Museo di Torino ricevette a titolo di risarcimento solo questo ritratto e il Codice delle Ore di Torino-Milano di Jan Van Eyck.
- PRIMO LEVI (Torino 1919-1987), scrittore e chimico.
- Frequenta il liceo classico Massimo D’Azeglio e nel 1941 si laurea a pieni voti in chimica. Nel 1943 si unisce a un nucleo partigiano operante in Valle D’Aosta, ma viene quasi subito arrestato dai nazifascisti e deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo. Scampato al lager, rientra in Italia e si getta febbrilmente nella scrittura di Se questo è un uomo per testimoniare le atrocità vissute, oggi considerato un classico della letteratura mondiale. Trova impiego come chimico presso la ditta di vernici Siva di Settimo Torinese di cui diventerà direttore. Dopo molti anni torna a dedicarsi alla scrittura. Tra i suoi lavori più famosi, vincitori di importanti premi: La tregua, Il sistema periodico, La chiave a stella, Se non ora, quando?, I sommersi e i salvati. Pubblica anche libri di poesie e di fantascienza e lavora come traduttore. Il suo stile è caratterizzato da un linguaggio asciutto, sintetico e chiaro. Viene trovato morto nell’aprile 1987 alla base della tromba delle scale della sua casa in corso Re Umberto, a seguito di una caduta.
- RITA LEVI MONTALCINI (Torino 1909-Roma 2012), neurologa, senatrice a vita e premio Nobel per la medicina.
- Di famiglia ebrea, nel 1936 si laurea con lode in medicina e avvia gli studi sul sistema nervoso. A causa delle leggi razziali che le impediscono di fare ricerca, nel 1938 emigra a Bruxelles, poi rientra a Torino e, per poter continuare gli studi, allestisce un laboratorio “clandestino” nella propria casa. Durante la Seconda Guerra Mondiale riesce a scampare alle deportazioni e presta servizio come medico nelle forze alleate. Dopo la guerra diventa assistente alla cattedra di anatomia di Torino. Dal 1947 al 1977 la sua carriera universitaria e di ricerca si svolge tra gli Stati Uniti e l’Italia. I suoi esperimenti la portano a scoprire il fattore di crescita delle cellule nel sistema nervoso che le farà vincere il premio Nobel per la medicina nel 1986. È attiva anche in campo umanitario e sociale: promuove il diritto allo studio delle donne africane, si batte contro lo sfruttamento delle risorse naturali, organizza campagne contro le mine antiuomo. Ottiene importanti riconoscimenti e dirige enti di ricerca fino in età molto avanzata, seppure con qualche problema di salute che affronta con serenità: «Il corpo faccia quello che vuole. Io non sono il corpo, io sono la mente. Il cervello è lo stesso di quand’ero ventenne. Il cervello è un organo magnifico: se lo coltivi funziona, se lo trascuri si indebolisce. Per questo bisogna continuare a pensare». Muore a 103 anni.
- VIRGINIA OLDOINI VERASIS (Firenze 1837-Parigi 1899), contessa di Castiglione.
- Affascinante, ambiziosa e scaltra, è definita dalle cronache “la donna più bella del mondo”. A 17 anni sposa il conte Francesco Verasis di Castiglione, cugino di Camillo Benso conte di Cavour. Il matrimonio la introduce alla corte dei Savoia dove conquista personaggi influenti, tra cui Costantino Nigra e il re Vittorio Emanuele II. Nel 1855 il conte di Cavour le chiede di sedurre l’imperatore di Francia Napoleone III e di convincerlo a sostenere i suoi piani per l’unità d’Italia. La contessa riesce nel suo intento, ma ben presto la sua relazione con l’imperatore è scoperta e lei viene allontanata dalla corte. Trascorre gli ultimi anni nella sua casa di Parigi in solitudine e nel disperato rimpianto della bellezza perduta. Nel testamento chiede di essere sepolta con i suoi gioielli, i suoi due cani pechinesi imbalsamati e la camicia da notte di seta indossata nei suoi incontri con Napoleone III che conserva gelosamente in una teca di cristallo fino alla vecchiaia. Subito dopo la morte le carte compromettenti che testimoniano i suoi contatti con uomini importanti vengono bruciate dalla polizia.
- CAMILLO BENSO CONTE DI CAVOUR (Torino 1810-1861), politico e statista.
- Nel 1847 fonda il quotidiano Il Risorgimento. Nel 1850 è nominato ministro dell’Agricoltura, della Marina e del Commercio nel governo D’Azeglio e in seguito ministro delle Finanze; nel 1852 diventa presidente del Consiglio. Cavour si dedica a un radicale rinnovamento dell’economia piemontese: incentiva l’agricoltura grazie a una vasta opera di canalizzazione; valorizza l’industria, specialmente nel settore tessile; rinnova il sistema fiscale; potenzia i trasporti con la costruzione della ferrovia tra Torino e Genova e del traforo del Fréjus; promuove il commercio favorendo il libero scambio. In politica estera riesce a inserire il Piemonte nel gioco delle diplomazie europee. Nel 1855 invia le sue truppe a combattere nella Guerra di Crimea a fianco della Francia, per ottenere in cambio dall’imperatore Napoleone III il sostegno della Francia nella Seconda Guerra d’Indipendenza contro l’Austria (1859). Dopo importanti vittorie, Napoleone III firma l’armistizio di Villafranca ponendo fine alle ostilità: la Lombardia è liberata dal dominio austriaco e passa al Regno di Sardegna; Nizza e la Savoia vengono cedute alla Francia come compenso per l’aiuto fornito. Seguono le annessioni al Regno di Sardegna di Toscana, Emilia, Regno di Napoli, Sicilia, Marche e Umbria. Il 17 marzo 1861 viene proclamato il Regno d’Italia. Dopo poche settimane Cavour, il principale artefice dell’unità, muore improvvisamente nella sua residenza torinese.
- REGINA MARGHERITA (Torino 1851-Bordighera 1926), prima regina dell'Italia unita.
- A 17 anni sposa Umberto I di Savoia che diventa re nel 1878. Insieme viaggiano attraverso l’Italia con l’intento di promuovere la monarchia quale simbolo dell’unione del paese. Dotata di grande fascino e di eccellenti qualità comunicative, Margherita è amatissima dal suo popolo. Dopo la morte del marito, assassinato a Monza il 29 luglio 1900 dall’anarchico Gaetano Bresci, Margherita si dedica a opere di beneficenza, visita orfanotrofi e ospedali, promuove le arti e la cultura guadagnandosi le simpatie di poeti quali Carducci e D’Annunzio. Di carattere energico e di idee conservatrici, interviene nelle questioni politiche manifestando il suo favore per il fascismo. Alla regina sono dedicati la pizza Margherita, creata in suo onore nel 1889 durante un soggiorno a Napoli, e il rifugio Margherita sul Monte Rosa che la regina, appassionata alpinista, scala nel 1883. Margherita è anche amante delle automobili e ne possiede molte che guida personalmente, come la celebre Itala Palombella conservata al Museo Nazionale dell’Automobile di Torino.
- VITTORIO EMANUELE II (Torino 1820-Roma 1878), primo re d'Italia.
- Figlio di Carlo Alberto e Maria Teresa d’Asburgo Toscana, trascorre l’infanzia a Firenze. Essendo fisicamente molto diverso dal padre, circola la voce che il vero erede sia morto neonato in un incendio nella residenza di Firenze e che sia stato sostituito con il figlio di un macellaio, divenuto improvvisamente ricco subito dopo il rogo. Da ragazzo viene educato da dotti precettori, ma con risultati così scarsi che un giorno il padre lo convoca davanti a un notaio per fargli giurare solennemente di impegnarsi di più nello studio. Ha la passione per le belle donne, la caccia e il gioco del biliardo; preferisce la vita semplice e la compagnia del popolo alla rigida etichetta di corte. Dopo la sconfitta di Novara nella Prima Guerra d’Indipendenza e l’abdicazione di Carlo Alberto (1849), Vittorio Emanuele II diventa re di Sardegna. Pur essendo di idee conservatrici, non abolisce lo Statuto Albertino e ne rispetta le istituzioni, guadagnandosi l’appellativo di “Re galantuomo”. È protagonista del processo di unificazione nazionale e il 17 marzo 1861 viene proclamato re d’Italia. Dopo la morte della prima moglie Maria Adelaide d’Asburgo Lorena nel 1855, sposa morganaticamente una popolana, Rosa Vercellana detta “Bela Rosin”, e con lei si trasferisce nella residenza di Borgo Castello nel Parco della Mandria. È sepolto al Pantheon di Roma.
- MOLOCH, idolo del film muto “Cabiria” di Giovanni Pastrone (1914, casa di produzione Itala Film di Torino), Museo del Cinema di Torino.
- Nel film, ambientato durante la Seconda Guerra Punica nel III secolo a.C., la giovane Cabiria, figlia di un ricco romano, viene fatta prigioniera dai Cartaginesi che intendono sacrificarla al terribile dio Moloch. Ma il romano Fulvio Axilla, che vive a Cartagine, riesce a liberare Cabiria con l’aiuto del suo fedele servo Maciste. Gli eventi bellici tra Romani e Cartaginesi si intrecciano con le vicende di Fulvio Axilla e Cabiria che alla fine della guerra si innamorano e tornano salvi a Roma. Il film fu girato a Torino e nelle vicine Valli di Lanzo e costò quasi un milione di lire, una cifra enorme per l’epoca. Fu il primo kolossal, della durata di 3 ore, e il primo film a fare uso di grandi scenografie, di straordinari effetti speciali e di inquadrature in movimento grazie a un carrello che faceva muovere la cinepresa sulla scena. Alla realizzazione del film parteciparono due grandi artisti: Gabriele D’Annunzio che scrisse la sceneggiatura e Ildebrando Pizzetti che compose le musiche, per la prima volta sincronizzate con lo svolgimento dell’azione. La prima fu presentata il 18 aprile 1914 a Torino, Milano e Roma. Il film ebbe un grande successo, sia in Italia che all’estero: restò in cartellone per sei mesi a Parigi e per quasi un anno a New York.
- ADRIANO OLIVETTI (Ivrea 1901-Aigle 1960), imprenditore.
- Figlio di Camillo Olivetti, fondatore nel 1908 della prima fabbrica italiana di macchine per scrivere, e di Luisa Revel. Nel 1924 si laurea in ingegneria al Politecnico di Torino e, dopo un soggiorno di studio negli Stati Uniti e le prime esperienze nella fabbrica paterna come operaio, nel 1932 assume le redini dell’azienda. Adriano si pone l’obiettivo di rinnovare l’Olivetti, proponendo progetti innovativi basati sul principio secondo cui il profitto aziendale dipende dal benessere dei dipendenti: garantisce salari più alti e un orario di lavoro ridotto rispetto alle altre aziende; fa costruire asili nido, biblioteche, mense e abitazioni per i dipendenti; concede loro premi e prestiti. Nell’azienda impiega designer, ma anche artisti e scrittori addetti al settore vendite. Adriano apre nuovi stabilimenti in Italia (a Pozzuoli, Agliè, Ivrea e Caluso) e all’estero (in Brasile), e nel 1959 acquista la Underwood, azienda statunitense produttrice di macchine per scrivere. Nel 1957 viene premiato dalla National Management Association di New York per l’attività di direzione dell’azienda. Muore improvvisamente il 27 febbraio 1960 durante un viaggio in treno da Milano a Losanna. In quel momento l’Olivetti è la prima azienda nel mondo nel settore dei prodotti per ufficio e conta 36000 dipendenti, di cui oltre la metà all’estero.